L’inquinamento ci rende più stressati?

È stato un autunno anomalo, più caldo della media, con quasi due mesi senza un goccio d’acqua. Un autunno che ha portato lo smog ai massimi livelli, con valori di PM10 (le polveri sottili) fino a 3 volte il limite massimo consentito, soprattutto su zone dove l’aria ha meno ricambio.

L’inquinamento atmosferico, si sa, può provocare diversi problemi dal punto di vista fisico, soprattutto alle vie respiratorie. La sua azione, però, ha anche diverse ripercussioni dal punto di vista psicologico, andando ad amplificare, e spesso a creare ex novo, veri e propri disturbi da stress, come stati d’ansia generalizzata, depressione, fino all’attacco di panico.

Il legame tra stress e inquinamento pare sia dovuto all’azione chimica delle sostanze presenti nell’aria inquinata, soprattutto il biossido di carbonio, su alcune strutture cerebrali coinvolte nell’innesco delle reazioni da stress.

In particolare, secondo alcuni studi, pare che sia una piccola parte del cervello, chiamata Locus Coeruleus, ad essere particolarmente suscettibile all’azione degli agenti inquinanti. Questo piccolo nucleo di neuroni, situato in una zona chiamata tronco encefalico, rilasciando una sostanza chiamata noradrenalina, attiva la sensazione di allerta e di eccitazione tipica dello stress e genera, se protratta, gli stati d’ansia. Quanti di voi si sentono più ansiosi in questo periodo?

Lo stress derivante da un ambiente inquinato è subdolo poiché la sua influenza agisce al di sotto della coscienza. Altre ricerche hanno evidenziato la sua azione nel favorire l’insorgenza di stati emotivi ansiogeni.

Ad esempio, uno studio del 2011 svolto da un gruppo di ricercatori delle università di Bristol e Southampton, ha evidenziato che i nostri sistemi di autoregolazione, e quindi il sistema dello stress, siano programmati per reggere un quantitativo di biossido di carbonio non superiore ad una percentuale del 7,5%. Superata questa soglia si innescherebbero le reazioni di difesa legate ad una situazione di pericolo, ponendoci in una condizione psicologica connotata da emozioni di paura, senso di allerta, ansia, fino ad arrivare ad attacchi di panico.

Anche gli italiani Roccotelli e Sorrentino hanno rilevato che eccessi di biossido di carbonio nell’atmosfera possono provocare una riduzione del ph del sangue, che diventa meno acido, ed influenzando il ritmo respiratorio, provocando iperventilazione ed effetti deprimenti sul sistema nervoso centrale.

Che dire poi delle polveri sottili? Un’altra ricerca del 2011, guidata dalla Dott.ssa Laura Fonken della Ohio University, ha evidenziato come l’inalazione di queste sostanze possa compromettere le funzionalità dell’ippocampo, una struttura cerebrale decisiva nell’apprendimento, nella memoria, ed implicata nella regolazione del cortisolo (l’ormone dello stress) e degli stati depressivi. Le conseguenze? Tutti più ansiosi, più depressi, meno rapidi nell’apprendimento e più smemorati.

L’inquinamento dell’aria può inoltre causare alterazioni cerebrali in grado di favorire l’aumento autismo e schizofrenia tra i neonati, come affermato da uno studio del Prof. Joshua Allen del 2014.

Forse allora l’aumento dell’incidenza degli attacchi di panico e dei disturbi d’ansia può essere spiegato in parte dalla pessima qualità dell’aria che respiriamo.
D’altronde, respirare, è il nostro fondamentale atto di relazione col mondo e con la vita. E’ la prima cosa che facciamo quando nasciamo e l’ultima quando moriamo. E’ l’essenza della vita stessa.

Forse è vero che siamo ciò che respiriamo. E i cieli gialli di Pechino, quelli viola di Nanchino, i fumi delle fabbriche dei paesi in “via di sviluppo”, gli scarichi delle nostre auto, solo per citare alcune situazioni, dovrebbero farci capire cosa stiamo diventando.
Siamo sicuri di volerlo veramente?

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